Alzi la mano chi non ha mai desiderato fare una vacanza alle Maldive, in un 5 stelle super lusso, serviti e riveriti da camerieri e maggiordomi, magari gustandosi un cocktail sotto l’ombra di una palma o ammirando un tramonto sul mare.
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La condizione dei Maldiviani.
Devo però dirvi che le Maldive hanno un lato che è nascosto, come una la faccia oscura della luna. Ho parafrasato il titolo di un noto album dei Pink Floyd per rendere un po’ l’idea. E’ un lato che pochi conoscono e che pochi vedono. Lo si può notare a Malé, per le vie della capitale, ma soprattutto nelle piccole isole degli atolli.
Innanzitutto occorre dire che i Maldiviani, già tartassati dal punto di vista del trasporto, non beneficiano di questo paradiso terrestre e dei vantaggi economici derivanti dal turismo di massa, soprattutto da quello di lusso. I ricavi delle compagnie che gestiscono i resort sono elevati ,ma sfiorano a malapena i dipendenti. Il guadagno finisce in conti esteri, dove le società hanno sede. La forza lavoro nei resort deve essere composta per legge per il 50% da lavoratori locali ma gli stipendi, se paragonati ai nostri, sono comunque ridotti. Vincere “l’employee of the month“, significa incrementare il proprio introito di circa un terzo, il che per una famiglia maldiviana non è poco.

Per quel che riguarda la vita vera invece, se volete capire come funziona la vita alle Maldive, consiglio di recarvi nelle isolette degli atolli. A Malé la vita scorre coi ritmi di una grande città di giorno, ma se ci andate di sera, con le strade mal illuminate dai lampioni e dai neon delle insegne dei bar, vi sembrerà di fare un piccolo salto indietro nel tempo. Salto che si nota molto se andrete in una di quelle isole abitate solo dai nativi e lontane anni luce dal turismo.
La vita nelle isole delle Maldive.
Io ci vado per fare da interprete a dei clienti. Ci arriviamo in motoscafo e sbarchiamo al piccolo porticciolo dove riposano due pescherecci, appena rientrati da una battuta notturna di pesca. A dominare la scena, un’enorme antenna, unica testimone e portatrice di tecnologia. Che cosa porti lo si può solo immaginare: qualche canale televisivo in qualche casa munita di TV e forse una connessione dati per internet. I pescatori stanno ancora riassettando le reti da pesca, alcuni uomini sorseggiano un te al bar. L’economia delle isole si basa prevalentemente su pesca e qualche attività commerciale. Facciamo il giro dell’isoletta, attraverso le sue strade sterrate e piene di buche. Dalle case, costituite da mattoni e da alcuni tetti da lamiera, ogni tanto si affaccia qualcuno per ammirare gli stranieri.

Due sono i luoghi fondamentali dell’isola: la moschea, che scandisce il ritmo della giornata col canto del muezzin e con i 5 momenti di preghiera, e il campetto da calcio, luogo di ritrovo dei ragazzini. Il calcio, sport nazionale, regala gioia ai ragazzi e momenti di svago. Due mattoni a delimitare la porta, un pallone sgonfio, un terreno composta da terra e sassi regalano sorrisi e felicità a questi ragazzi che praticamente non hanno nulla. La mia guida, Asim, ci dice che ogni tanto la partita viene interrotta da un acquazzone della durata di un quarto d’ora.
La partita viene momentaneamente sospesa, i giocatori corrono a casa per preparare bacinelle e catini per raccogliere l’acqua piovana: l’acqua corrente fatica ad arrivare qui. Se arriva, arriva via barca da Malè. E allora ogni modo è buono per recuperarla. Questa serve per lo più per lavarsi e far da mangiare.
Maldive: come vivono i bambini?
Mentre stiamo camminando, ci accorgiamo di essere seguiti da quattro ragazzini. Sono usciti dalle case e ci guardano come fossimo degli alieni. Sorridono, ci salutano e si avvicinano. Siamo la loro fonte di svago. Una delle due turiste si fa una foto con loro. Li guardo e vedo che nonostante si trovino una quarantina d’anni indietro a noi, nonostante non ci sia nulla nell’isola, la loro è una felicità vera, sfoderano dei sorrisi sinceri provenienti dal cuore, non come quei turisti che vedevo nel mio resort, circondati dal lusso, dal benessere, da lauti buffet, eppure tra di loro non si parlavano, non un sorriso, non un gesto di allegria, solo lamentele e reclami. Eppure avevano tutto. Che la felicità delle cose stia nella semplicità è un dato di fatto.
La vita nei resort degli impiegati.
Per chi però non avesse la possibilità, o la voglia, di recarsi in queste isole delle Maldive quasi del tutto dimenticate da Dio e fuori dai percorsi turistici, la vita locale la si può vedere parzialmente nei resort: addentratevi dunque nelle staff area, le zone riservate al personale. Non sono delimitate, quindi fate finta di esservi persi e vedete come funziona. Qui la gente gioca ad una specie di dama, guarda la tv, chiacchiera. Solitamente nei resort vi sono dei negozi di prima necessità ad uso esclusivo dei dipendenti. Qui la spesa si fa con 4-6 dollari, da noi o fuori da questa zona si spende dieci volte tanto.
Come dicevo prima, i benefici dei resort sono relativi per la popolazione locale. Vi sono quantità di cibo prodotte e gettate che non potete immaginare. Fortunatamente una parte viene riutilizzata per il personale dei resort. Ricordo che alla pausa per il Tea Time delle 16.00 c’era la ressa davanti alle porte della mensa. Il buffet della colazione veniva dato ai dipendenti al pomeriggio. Tutti si accalcavano davanti alle porte della mensa. L’apertura delle porte era uguale allo sparo di uno starter, iniziava una corsa verso il bancone della mensa. Una volta percorsi quei cinque metri di distanza tra linea di partenza e il cibo, si consumavano le scene più assurde: tutti arraffavano il più possibile e il buffet era letteralmente ripulito nel giro di due minuti.
E non dimenticate che i nativi Maldiviani sono soggetti a restrizioni per quel che riguarda i trasporti.

Chiesi come mai il perchè di tante corse e di tanto abbuffarsi: purtroppo alle Maldive qualcuno la colazione non se la poteva permettere. Ora, con tutto quel ben di Dio, chi poteva rinunciare e far finta di niente? Effettivamente avevano ragione.
Conclusioni.
Le Maldive sono una terra di forti contraddizioni, dove al lusso più sfrenato, a pochi chilometri di distanza ma anche a alle spalle delle beach villa, si contrappongono la miseria ma anche la semplicità e la felicità di avere quel poco, che viene visto come un tesoro.
P.S. nelle isole non mi era permesso portare la macchina fotografica in quanto stavo ufficialmente lavorando. vi dovrete accontentare del resto.
Ho letto il bellissimo articolo, immaginavo le difficoltà degli autoctoni rispetto alla sfrontatezza e sfruttamento turistico. E purtroppo credo che questo divario, nel tempo possa solo peggiorare. Per tale motivo, pur desiderando di “visitare”queste isole o parte di loro, vorrei sapere se ancora oggi esistono isole a conduzione maldiviana o almeno dove non ci sia un turismo sfrenato. Il mio desiderio (programmazione per il 2025) sarebbe proprio quello di poter parlare o condividere esperienze con quelli che non sono quasi più padroni di casa in casa loro.
Grazie per qualsiasi suggerimento.
Buongiorno Giusy
Grazie mille del commento, se mi manda una mail a info@unvenetoinviaggio.it Le posso mandare un contatto di un amico che ha una guest house proprio alle maldive.
Luca
Le Maldive viste con occhio critico sono ben lontane da quelle delle immagini patinate offerte dai media, non c’è dubbio. Poter vivere a stretto contatto con i locali, poi, fa capire le condizioni in cui vertono i villaggi dove il turismo non arriva. Come dici tu, Luca, la contrapposizione tra questi due mondi è spietata: certo è che basterebbe davvero poco alle società che guadagnano milioni di dollari per rendere più dignitose le condizioni dei locali. Davvero poco.
Giusto x farti un esempio, io ero stagista, mi pagavano 500$ al mese. Mi era stato chiesto di non condividere l’informazione coi miei colleghi soprattutto quelli maldiviani. Poi ho scoperto xké. Il loro stupendio oscillava tra i 200 e i 300$ a seconda della responsabilità. Cosa sono 100-200$ in più per le compagnie? X i locali avrebbe significato stipendio doppio e migliori condizioni di vita…
Sono completamente d’accordo con te, Luca, è ciò che penso anche io.